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Estratto da:

Trattato italiano di
medicina di Laboratorio
” – volume IX: “Diagnostica molecolare nella
medicina di laboratorio” a cura di C. Balestrieri et al. – Piccin nuova Libraria – Padova – 2009.

Capitolo 19. “Lipidomica
a cura di E.L. Iorio, C. Ferreri. (pp. 341 – 360).

La Lipidomica:
principi e razionale.

L’interesse […] nei confronti dei lipidi è andato crescendo
negli ultimi decenni, […] da quando si è cominciato a capire che queste
sostanze se da un lato rendono palatabili e, dunque, piacevoli al gusto, molti
alimenti, dall’altro, assunte in quantità eccessive, possono costituire, dato
l’elevato potere calorico e la suscettibilità – almeno di alcune di esse – ad
insulti di tipo ossidativo, una seria minaccia per la salute.

Alle dislipidemie (n.d.r.: qualsiasi condizione clinica
nella quale sono presenti nel sangue elevate concentrazioni di lipidi),
infatti, è associata la patogenesi di gran parte delle malattie
cardiovascolari, la prima causa di mortalità nei Paesi industrializzati.

Fenomeni di perossidazione lipidica (n.d.r.: ossidazione delle
molecole lipidiche e quindi una loro degradazione che porta a malfunzionamento),
poi, sono implicati nella patogenesi delle numerosi condizioni morbose
associate allo stress ossidativo, dalla malattia di Alzheimer al morbo di
Parkinson, dalla steato-epatite (n.d.r.: malattia del fegato dovuta ad accumulo
di grasso anormale) al diabete mellito.

A queste vanno aggiunte le così dette “lipidosi” (n.d.r.:
patologie degenerative), come la malattia di Gaucher e quella di Niema-Pick, ad
ulteriore riprova del fatto che alterazioni del metabolismo lipidico possono
avere conseguenze disastrose sull’economia dell’intero organismo, proprio per
il coinvolgimento di quei distretti, come il sistema nervoso centrale, ove è
preponderante la presenza di questa classe di sostanze.

Di qui l’attuale orientamento verso uno studio sistemico dei
lipidi che risulti in grado di superare i rigidi canoni del passato – che
relegano i grassi a mera riserva energetica o componenti strutturali delle
membrane – per aprirsi ad un’interpretazione più dinamica delle funzioni di
questi come mediatori e modulatori biochimici. […] È in questo contesto che si
inserisce la lipidomica, la cui finalità è, appunto, quella di analizzare la
struttura, la funzione e le reciproche interazioni dei lipidi nei sistemi
biologici e, dunque, nel contesto del metabolismo, in condizioni sia
fisiologiche che patologiche.

[…] la lipidomica persegue l’ambizioso obiettivo di
“mappare” l’intero repertorio lipidico – il “lipidoma”, appunto” – di un
determinato organismo vivente.

Lo scopo è evidente: solo grazie all’identificazione
sistemica delle diverse migliaia di specie molecolari con cui i lipidi si
distribuiscono nelle cellule e nei tessuti sarà possibile monitorare le
variazioni qualitative e/o quantitative dell’assetto lipidico, in condizioni
basali e dopo situazioni stressanti, e, in definitiva, correggere le deviazioni
in senso patologico.

[…] con l’obiettivo finale di trarre uno specifico “profilo
lipidomico”, generalmente per classe di lipidi (fosfolipidi, lipoproteine,
etc.).

Riferendoci in particolare all’Uomo non v’è dubbio che il
sangue rappresenti il “materiale biologico” primario dal quale “attingere” per
valutare il metabolismo lipidico e individuare le eventuali “deviazioni” dalla
norma che dovessero verificarsi in caso di malattia.

Esso, infatti, rappresenta il fluido principale attraverso
il quale i grassi, introdotti attraverso l’alimentazione, vengono veicolati
nell’organismo alle varie sedi di utilizzo.

In tale ottica, fino a qualche anno fa, la fonte primaria (e
pressoché esclusiva) per lo studio dei grassi era considerata il plasma e ad
esso (o al siero) ci si riferisce ancora per le indagini di routine (dosaggio
del colesterolo, lipidogramma: n.d.r. “test di laboratorio per distinguere le
lipoproteine, che sono le sostanze che trasportano i lipidi nel sangue”, etc.).

Studi più recenti, tuttavia, hanno individuato anche nelle
cellule circolanti – principalmente globuli rossi e piastrine – una possibile
fonte biologica utile per valutare il metabolismo dei lipidi.

Così […] si può avere un’idea abbastanza precisa delle
complesse interazioni tra le varie classi e sottoclassi di questa grande
famiglia di sostanze biologiche attive (n.d.r.: i lipidi) focalizzando lo
studio sugli acidi grassi che, probabilmente, ne rappresentano la parte più
rilevante, almeno dal punto di vista quantitativo.

[…] nel plasma, tradizionale materiale biologico di partenza
per lo studio del metabolismo dei lipidi, solo una piccola parte degli acidi
grassi (8-10%) circola come tale: si tratta degli acidi grassi liberi veicolati
per lo più dall’albumina.

La rimanente quota, molto più consistente, è presente in
forma esterificata nelle 3 principali classi di lipidi plasmatici: i trigliceridi,
il colesterolo (esterificato) ed i fosfolipidi. Questi ultimi si aggregano tra
loro in vario modo per generare le varie classi e sottoclassi di lipoproteine
(principalmente HDL e LDL).

Nelle membrane delle cellule ematiche, principalmente globuli
rossi e piastrine, invece, gli acidi grassi sono parte integrante dei
fosfolipidi di membrana (n.d.r. “i mattoni” della membrana preposti ad
un’azione strutturale e regolatrice di tutti gli scambi cellulari necessari per
le funzioni vitali).

La “concentrazione” e la “distribuzione” degli acidi grassi
nelle varie frazioni lipidiche delle principali componenti del sangue –
“globuli” e plasma – sono il risultato di una serie di fattori o processi, quali
il regime dietetico, l’assorbimento intestinale, il metabolismo, gli scambi tra
i diversi compartimenti, il deposito e l’eliminazione (catabolismo). Tutti questi
processi, a loro volta, sono strettamente correlati, in maniera bi-univoca, con
lo stato di salute.

Infatti, se da un lato condizioni morbose (es. stati
infiammatori) possono provocare alterazioni qualitative e/o quantitative a
carico delle diverse frazioni lipidiche, dall’altro (e, forse, più spesso)
stili di vita non idonei (es. eccesso calorico) possono provocare alterazioni
del bilancio lipidico tali da compromettere lo stato di salute, fino alla
comparsa di patologie croniche quali l’aterosclerosi. Di qui la notevole
importanza della lipidomica degli acidi grassi del sangue in medicina
preventiva e in patologia umana in genere.

Un profilo lipidomico corretto presuppone un’adeguata scelta
del campione e, quindi, della popolazione cellulare che meglio si presti
all’analisi ed alla sua finalità […] una “cellula tipo” ovvero le cellule
mediamente più rappresentative in senso metabolico dell’intero organismo
(n.d.r.: il globulo roso).

[…] i requisiti fondamentali da rispettare sono:


il prelievo delle cellule da analizzare deve
poter essere eseguito nel soggetto senza il ricorso a procedure troppo invasive
(n.d.r.: un semplice prelievo venoso);


le cellule da testare devono presentare una
plasmalemma (n.d.r.: o membrana plasmatica) la cui composizione chimica, in
termini di acidi grassi, deve essere rappresentativa della stato generale
dell’organismo e, nel contempo, deve mantenersi stabile nel tempo, senza subire
modificazioni significative per effetto di situazioni contingenti o di breve
durata (n.d.r. appunto i globuli rossi “maturi” oltre i 90 dei loro 120 giorni
di vita media);


le informazioni ottenibili dall’analisi
qualitativa e quantitativa degli acidi grassi delle suddette membrane devono
fornire il maggior numero di indicazioni possibili sullo stato metabolico del
soggetto, anche in rapporto al suo stile di vita, alla sua alimentazione e ad
eventuali patologie concomitanti;


eventuali strategie (es. di tipo nutrizionale)
messe in atto per correggere deviazioni dalla norma del profilo lipidico delle
suddette membrane devono poter produrre variazioni nella composizione in acidi
grassi rilevabili con la stessa metodica entro intervalli di tempo definiti,
possibilmente non troppo lunghi.

[…] il profilo lipidomico degli acidi grassi delle membrane eritrocitarie
fornisce, anzitutto, una serie di informazioni sulla composizione degli acidi
grassi di membrana di maggior rilevanza biologica. Da questa analisi, possono
già scaturire alcune indicazioni di massima immediatamente traducibili in
ipotesi patogenetiche.

[…]. In conclusione, la funzionalità delle membrane
cellulari dipende strettamente dalla natura e dalla disposizione dei suoi
numerosi componenti e, in particolare, dalla composizione in acidi grassi.
Quest’ultima, a sua volta, è la diretta conseguenza di un adeguato
bilanciamento fra processi biosintetici e degradativi che, in condizioni
ordinarie, sono coordinati in modo tale da garantire una distribuzione
equilibrata dei vari componenti. In questo modo ogni membrana può svolgere le
funzioni alle quali è preposta.

Al contrario di una classica analisi lipidica, che si limita
a definire la natura e la quantità di lipidi presenti in un determinato
campione biologico, la lipidomica eritrocitaria parte da questi dati quali e
quantitativi per poi effettuare correlazioni tra le vie biosintetiche,
prendendo in considerazione le possibili influenze di attività enzimatiche e,
evidenziando, alla fine, possibili squilibri indotti da noxae (n.d.r.: agenti capaci di esercitare un effetto dannoso sul
corpo) endogene o esogene.

L’approccio lipidomico è, pertanto, dinamico, in quanto
consente di monitorare ed interpretare le trasformazioni che la membrana può subire,
a causa di eventi fisiologici e patologici, proprio perché questi – come lo
stress ossidativo- hanno inevitabilmente influenza sulla reale disponibilità
dei diversi tipi di acidi grassi presenti in quell’organismo.

La lipidomica, inoltre, consente di entrare nel merito del
metabolismo, gettando un ponte fra la struttura delle membrane e la nutrizione,
non in modo generico, ma in maniera fortemente personalizzata, in quanto sulla
base delle notizie raccolte sul paziente (tramite anamnesi e questionario
alimentare) essa esamina e cerca di razionalizzare la situazione creata dal
metabolismo soggettivo orientando quest’ultimo verso una condizione di
equilibrio, della quale l’organismo intero può avvantaggiarsi specialmente in
condizioni di stress.

Partendo dal principio che la membrana della cellula
continua ad esistere, entro certi limiti, anche se l’equilibrio fra le sue
componenti non è perfetto, una sua “”sofferenza” può rimanere ancxhe a lungo
silente, ovvero non tradursi in segnali clinici evidenti di malattia.

[…] In tale contesto, un profilo lipidomico eseguito a
cadenza annuale può efficacemente contribuire alla precoce identificazione di
possibili scompensi silenti e a mettere in atto le adeguate strategie di
correzione e di controllo d’efficacia, per il benessere cellulare ed una
migliore qualità della vita.

Paziente affetto da SM PP (Sclerosi Multipla Primariamente
Progressiva) con EDSS 7,5/8 (scala di disabilità) trattato con cortisone fino
al 2005, poi con azatioprina. La RM (Risonanza Magnetica) del 30 Maggio 2005
evidenziava nuove lesioni. Dal Giugno 2005 inizia il percorso Mineral Test; il
mineralogramma dimostra una intossicazione da Mercurio, Piombo e
Alluminio. Attualmente ha concluso l’ottavo ciclo di integrazione. La
nuova RM, con e senza contrasto, del 23 Giugno 2011 (riportata di
seguito) non evidenzia lesioni attive nè nuove lesioni, confermando il
quadro delle precedenti RM. Praticamente la malattia è ferma dal 30 Maggio 2005 (ultima RM con peggioramento). Dal Giugno 2005 iniziava l’integrazione Mineral Test, con rapido e persistente beneficio, passando da un EDSS 7,5/8 (deficit deambulatorio totale) a 6/6,5 (deambulazione con doppio appoggio).
                                                                                                                         Fare click per ingrandire

Ambiente e non solo genetica in gioco nell’autismo.

I fattori ambientali possono giocare un ruolo maggiore nell’autismo
di quanto si pensasse, ribaltando la convinzione che puntava sulla causa
genetica; due studi pubblicati su Monday lo suggeriscono.

In uno studio, un team della Stanford University
ha confrontato i casi di autismo nei gemelli identici e fraterni, e ha scoperto
che i gemelli fraterni, che condividono solo la metà dei geni stessi, hanno
tassi insolitamente alti di autismo, suggerendo che altri fattori oltre la
genetica possono innescare la malattia.

In un altro, i ricercatori per
la sicurezza della salute Kaiser Permanente, ha trovato che nelle madri di
bambini con autismo, la probabilità che sia stato prescritto un antidepressivo
è doppia, durante l’anno precedente la gravidanza, rispetto alle madri di
bambini sani. E il rischio è ancora maggiore, trattasi di un triplice aumento,
quando il farmaco è stato somministrato nel primo trimestre di gravidanza.

I risultati, rilasciati negli Archives of General
Psychiatry, suggeriscono che qualcosa nel luogo di nascita, farmaci, prodotti
chimici o infezioni, possono innescare l’autismo nei bambini che sono già
geneticamente predisposti a sviluppare la malattia.

“E ‘stato ben stabilito che i fattori genetici
contribuiscono all’aumento di rischio per l’autismo”, Clara Lajonchere, un
coautore dello studio e vicepresidente di programmi clinici di Autism Speaks,
ha detto in un comunicato. “Ora abbiamo prove
evidenti che, in cima alla ereditarietà genetica, un ambiente prenatale condiviso
con altri bambini, può avere un maggiore ruolo nello sviluppo di autismo.”

L’autismo è uno spettro di disturbi che vanno da una
profonda incapacità di comunicare e ritardo mentale a sintomi relativamente
lievi, come con la sindrome di Asperger. Colpisce
uno ogni 150 bambini che nascono oggi negli Stati Uniti, circa l’1% della
popolazione.

Ambiente Condiviso

Lo studio di Stanford ha coinvolto 54 coppie di gemelli identici (monozigoti),
che condividono il 100% dei geni, e 138 coppie di gemelli fraterni (dizigoti),
che condividono la metà dei geni. In ogni coppia, almeno ad uno dei gemelli era stata
diagnosticato l’autismo.

I ricercatori hanno scoperto che le probabilità che due fratelli
abbiano disturbi dello spettro autistico era più alta tra i gemelli monozigoti
che tra i gemelli dizigoti, ma questi ultimi avevano molte più probabilità di
sviluppare l’autismo rispetto ai bambini che hanno un fratello con l’autismo.

Secondo lo studio, i fattori ambientali comuni ai gemelli possono
spiegare circa il 55% dei casi di autismo, mentre i fattori genetici hanno un
ruolo molto meno importante di quello osservato in altri studi sui gemelli e
l’autismo.

“I fattori ambientali giocano un ruolo più importante
di quanto si pensasse”, ha affermato Joachim Hallmayer della Stanford
University School of Medicine in California, che ha condotto lo studio.

Ha anche detto in una intervista telefonica che recenti
studi hanno suggerito che la genetica ha giocato il ruolo più importante nell’autismo,
ma le sue scoperte suggeriscono qualcosa di diverso.

“Dobbiamo studiare sia la genetica che
l’ambiente”, ha detto Hallmayer. “Se guardiamo solo un lato, non
credo che ci porterà alla risposta giusta.”

Potrebbero essere gli antidepressivi?

In uno studio separato sulla stessa rivista, un team
guidato da Lisa Croen, direttore del Programma di Ricerca Autismo presso la
Divisione di Ricerca Kaiser Permanente di Oakland, in California, si occupò di
valutare se gli antidepressivi conosciuti come inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina (o SSRI), abbiano contribuito all’aumento del
rischio di autismo.

Il team ha studiato quasi 300 bambini con autismo e 1.500
bambini selezionati in modo casuale e poi controllato le cartelle cliniche
delle loro madri.

Hanno trovato che le madri dei bambini con autismo hanno
una probabilità doppia di aver assunto un antidepressivo nell’anno precedente il
parto rispetto ai bambini del gruppo di controllo. E l’effetto era più forte, tre volte superiore, quando
i farmaci sono stati assunti nel primo trimestre di gravidanza.

“I nostri risultati suggeriscono un possibile, anche
se piccolo, rischio per il nascituro associato all’esposizione in utero a
farmaci SSRI”, Croen ha detto in un comunicato.

Questo rischio deve essere bilanciato con il rischio per
la madre, che non abbia assunto farmaci, di sviluppare la depressione.

Il team ha ammonito che lo studio preliminare SSRI ha necessitato
molto lavoro per capire il legame tra gli antidepressivi e l’autismo.

“Ci sono rischi reali nel non trattamento di
una grave malattia come la depressione. Bisogna valutare tutte le
opzioni”, ha detto il dottor Thomas Insel, direttore del National
Institute of Mental Health.

“Un triplice aumento del rischio non è
insignificante. Bisogna valutare tutti i fattori”, Insel ha detto in
un’intervista telefonica. Insel, la cui agenzia ha
finanziato lo studio sui gemelli, ha detto che non è ancora chiaro quali
fattori ambientali possano innescare l’autismo. “Potrebbe
essere una serie di fattori dall’infezione alle esposizioni chimiche.
Semplicemente non lo sappiamo”. Quello che sta
diventando chiaro, ha detto, è che è probabile che l’esposizione si verifichi
prima del parto. “Da tutti gli studi finora portati
a termine, viene messo in evidenza questo,” ha detto.

Link
al documento originale: http://www.reuters.com/article/2011/07/04/us-autism-environment-idUSTRE7634Y220110704

Link
al primo studio originale: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21727249

Link
al secondo studio originale: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed?term=lisa%20croen%20antidepressant

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