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L’interesse per uno stato di carenza di magnesio (Mg) come fattore di rischio per la malattia di Alzheimer (AD) è in aumento per via delle sue proprietà antiossidanti e neuro-protettive. È stata intrapresa una ricerca sistematica, su PubMed, di studi che hanno valutato lo stato del Mg comparando i malati di AD ai controlli sani (HC), o ai pazienti con malattie diverse (controlli medici [MC]). Differenze medie standardizzate (componenti SMD) ± 95% intervallo di confidenza (IC) sono state calcolate per tutti i risultati. Di 192 studi potenzialmente ammissibili, 13 sono stati inclusi (559 pazienti con AD, 381 HC, e 126 MC). Rispetto ai controlli sani HC, nei pazienti con AD era significativamente più bassa la quantità di Mg nel liquido cerebrospinale (2 studi; SMD = -0.35; P = .02) e nei capelli (2 studi; SMD = -0.75; p = 0,0001). Non ci sono differenze evidenti tra AD e controlli per il Mg nel siero. In conclusione, la malattia di Alzheimer sembra essere associata con uno livello di Mg inferiore rispetto ai controlli sani, mentre la scarsità di studi ha limitato le conclusioni circa il gruppo MC.

Link all’articolo originale:BLOG___[2]
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26351088

Background: Un crescente numero di prove indicano che le caratteristiche del microbiota intestinale possono essere strettamente correlate a disturbi mentali. Tuttavia, nessuno studio ha esaminato lo sviluppo del cervello fetale in relazione alla flora intestinale della madre, nonostante l’uso diffuso di antibiotici nella pratica ostetrica.

Obiettivo: determinare come l’esposizione periconcezionale  al  SuccinilSulfaTiazolo (SST), un antibiotico (sulfamidico, ndt) non assorbibile, sia in grado di influenzare il comportamento nella prole del ratto. Questo antibiotico ha precedentemente dimostrato essere in grado di perturbare il microbiota intestinale nei ratti dopo 28 giorni di assunzione.

Metodi: femmine di ratti Wistar  sono state divise in due gruppi: gruppo di controllo; gruppo esposto per un mese prima della riproduzione fino al 15mo giorno  di gestazione  ad una dieta contenente 1% di SST. Abbiamo somministrato test comportamentali per la prole, vale a dire, in campo aperto (postnatale giorno 20), interazione sociale (P25), marble burying (P30), elevated plus maze (P35), e riflesso acustico  di allarme (gating sensoriale ) (P45).

Risultati: Sia la prole maschile che femminile esposta nel periodo peri-concezionale  al SST mostrava ridotta interazione sociale, con un decremento di circa la metà del tempo trascorso in interazione sociale rispetto ai controlli, “exploration of the open arm” ridotto del 20%  neglii “elevated plus maze test”,  indicando una maggiore ansia ed  alterato gating senso-motorio, una diminuzione di  1,5-2 volte dell’inibizione del  trasalimento.

Conclusioni: l’esposizione materna periconcezionale al SST provoca alterazioni nel comportamento della  prole in assenza di infezione materna. Poiché abbiamo somministrato SST, un antibiotico non assorbibile, solo alla madre, possiamo concludere che queste alterazioni neuro-comportamentali nella prole sono legate ad alterazioni del microbiota intestinale materno.

Link all’articolo originale:BLOG___[2]

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Maternal+gut+and+fetal+brain+connection%3A+Increased+anxiety+and+reduced+social+interactions+in+Wistar+rat+offspring+following+peri-conceptional+antibiotic+exposure

Abstract

L’eziologia della maggior parte dei casi di  malattia di Alzheimer (AD) è ancora sconosciuta. Studi epidemiologici suggeriscono che i fattori ambientali possono essere coinvolti a fianco di fattori di rischio genetici. Alcuni studi hanno dimostrato alte concentrazioni di mercurio  nel cervello di defunti e nel sangue di pazienti viventi affetti da malattia di Alzheimer. Studi sperimentali hanno scoperto che anche quantità minime di mercurio, ma non di altri metalli a basse concentrazioni, sono stati in grado di causare tutti i cambiamenti delle cellule nervose che sono tipici per la malattia di Alzheimer. Il più importante dei fattori di rischio genetico,  nei casi sporadici di malattia di Alzheimer, è la presenza dell’allele della apolipoproteina Ee4 mentre l’allele della apolipoproteina Ee2 riduce il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. Alcuni ricercatori hanno suggerito che l’apolipoproteina Ee4 ha una ridotta capacità di legare metalli come il mercurio e quindi questo può spiegare l’elevato rischio per la malattia di Alzheimer. Approcci terapeutici adottano prodotti farmaceutici che legano i metalli nel cervello dei pazienti con  AD. In sintesi, i risultati di entrambi gli studi epidemiologici e demografici, la frequenza di applicazione dell’amalgama nei paesi industrializzati, studi clinici, studi sperimentali e lo stato dentale dei pazienti con AD rispetto ai controlli, suggeriscono un ruolo decisivo per il mercurio inorganico nell’eziologia della malattia di Alzheimer.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Alzheimer+Disease%3A+Mercury+as+pathogenetic+factor+and+apolipoprotein+E+as+a+moderator

abstract

Per valutare se nella malattia di Alzheimer (AD) i livelli di ferro, zinco e rame nel siero sono alterati, abbiamo effettuato una meta-analisi di tutti gli studi sul tema pubblicati dal 1984 al 2014 e, contestualmente, abbiamo realizzato anche la replica di uno studio nel siero. I risultati della nostra meta-analisi hanno mostrato che lo zinco nel siero era significativamente più basso nei pazienti con AD. I nostri risultati di replica e una meta-analisi ha mostrato che il rame nel siero era significativamente più alto nei pazienti con AD rispetto ai controlli sani, quindi i nostri risultati erano coerenti con le conclusioni di quattro meta-analisi sul rame  pubblicate in precedenza. Anche se un possibile ruolo del ferro nella fisiopatologia della malattia non poteva essere escluso, i risultati della nostra meta-analisi non hanno mostrato alcun cambiamento dei livelli di ferro sierico nei pazienti AD, ma questa conclusione non era solida e richiede ulteriori indagini. La meta-analisi di regressione ha rivelato che in alcuni studi le differenze nei livelli di ferro nel siero potrebbero essere dovute alla diversa età media, mentre le differenze nei livelli di zinco sembravano essere causate dalle differenze di sesso. Tuttavia, l’effetto delle differenze di sesso sui livelli sierici di zinco nella nostra meta-analisi è sottile e ha bisogno di ulteriore conferma. Inoltre, diversi termini demografici e gli approcci metodologici sembravano non spiegare l’elevata eterogeneità della nostra meta-analisi sul rame. Pertanto, nell’ambito delle indagini sugli oligoelementi, covarianti come l’età e il sesso devono essere prese in considerazione nelle analisi. Alla luce di questi risultati, suggeriamo che la possibile alterazione dei livelli di zinco e rame nel siero sono coinvolti nella patogenesi di AD

 Link all’articolo originale:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26401693

abstract

Per valutare se i livelli di zinco nel siero, plasma e liquido cerebrospinale sono alterati nella malattia di Alzheimer (AD), abbiamo effettuato una meta-analisi di 27 studi sul tema, pubblicati dal 1983 al 2014. I soggetti del campione erano ottenuti da una fusione di studi, con un pool totale di 777 soggetti AD e 1.728 controlli per gli studi sullo zinco nel siero, 287 soggetti AD e 166 controlli per lo zinco nel plasma e di 292 soggetti AD e 179 controlli per lo zinco nel Liquido Cerebro-Spinale(CSF). Il risultato principale di questa meta-analisi è la molto elevata eterogeneità tra gli studi sia in termini demografici o di approccio metodologico. Anche se abbiamo preso in considerazione questi effetti nelle nostre analisi, l’eterogeneità persisteva e deve essere presa in considerazione in sede di interpretazione dei risultati. La nostra meta-analisi ha indicato che lo zinco nel siero appare significativamente ridotto nei pazienti AD rispetto ai controlli sani, e questo risultato è confermato quando gli studi su siero e plasma sono stati analizzati insieme. Se prendiamo in considerazione gli studi con soggetti di pari età, la meta-analisi condotta su solo sei studi ha mostrato differenze significative nei livelli di zinco tra controlli AD e sani (SMD = -0.55, 95% CI (-1.18; 0,09); p = 0,094 ; I2 = 91%). Alla luce di questi risultati, abbiamo speculato circa la possibilità che la diminuzione osservata potrebbe indicare una possibile carenza di zinco nella dieta e abbiamo suggerito che il possibile coinvolgimento di alterazioni dello zinco in AD può avere una interazione con il metabolismo del rame.

 Link all’articolo originale:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25697706

“ …. Mentre l’associazione tra inquinanti atmosferici, pesticidi e altre sostanze chimiche agenti sul sistema endocrino e il rischio di disturbi dello spettro autistico sta ricevendo ulteriori conferme, l’ipotesi di una vera e propria relazione causale tra di loro ha bisogno di ulteriori dati. I possibili meccanismi patogenetici attraverso cui i fattori ambientali possono portare a disturbi dello spettro autistico in individui geneticamente predisposti sono stati riassunti, dando particolare enfasi al ruolo sempre più importante dell’epigenetica. …

La ricerca futura dovrebbe indagare se vi è una differenza significativa nella prevalenza di ASD fra le nazioni con livelli alti e bassi dei vari tipi di inquinamento. ….

Finora, la stragrande maggioranza degli studi che hanno cercato una correlazione tra inquinanti e l’autismo sono stati condotti negli Stati Uniti. Questo può essere un fattore limitante dal punto di vista epidemiologico, soprattutto perché la maggior parte dei pochi studi condotti altrove non hanno confermato i risultati ottenuti negli USA. Non è chiaro se ciò sia dovuto a problemi metodologici o reali differenze tra le aree geografiche considerate. Secondo Shelton et al. un obiettivo molto importante della ricerca riguardante le interazioni tra genetica e ambiente è l’identificazione delle popolazioni vulnerabili, anche in vista di una corretta prevenzione. Infine, un altro aspetto che gli autori considerano molto importante per la ricerca in questo campo è l’uniformità di criteri diagnostici e strumenti di valutazione per ASD, al fine di rendere i risultati degli studi effettuati in tutto il mondo comparabili. …..

È tuttavia da rilevare che, secondo l’osservazione di Turville e Golden, la meta-analisi di Taylor et al.  ha confermato studi precedenti dimostrando  che L’INCIDENZA  DI ASD È SIMILE IN GRUPPI DI BAMBINI CHE SONO STATI VACCINATI IN MODO DIVERSO, MA NON HA CONFRONTATO L’INCIDENZA DI ASD NEI BAMBINI VACCINATI E NON VACCINATI. Pertanto,  vi è ancora qualche incertezza riguardo a questa materia e, in accordo con Sealey et al., questo argomento dovrebbe essere studiato ulteriormente e la comunità scientifica deve ancora essere vigile per quanto riguarda la possibile associazione tra vaccini e ASD. Tuttavia, per quanto detto sopra, LE VACCINAZIONI SEMBRANO ESSERE UNA SCELTA INGIUSTIFICATA E PERICOLOSA PER LA SALUTE PUBBLICA. ….

Inoltre, PIOMBO, MERCURIO E ARSENICO sono NOTE SOSTANZE NEUROTOSSICHE che possono ATTRAVERSARE LA BARRIERA EMATO-ENCEFALICA E COMPROMETTERE LO SVILUPPO NEUROLOGICO. Meccanismi epigenetici si possono ipotizzare sulla base dei risultati dello studio sperimentale sugli animali effettuati da Hill et al …. ”

Abstract

Obiettivo:  i disturbi dello spettro autistico sono condizioni persistenti  per tutta la vita e spesso devastanti che colpiscono gravemente il funzionamento sociale e l’autosufficienza. L’eziopatogenesi è presumibilmente multifattoriale, risultante da un’interazione molto complessa tra fattori genetici e ambientali. Il drammatico aumento della prevalenza  del disturbo dello spettro autistico osservata nel corso degli ultimi decenni ha portato a porre l’accento sul ruolo dei fattori ambientali nell’eziopatogenesi. L’obiettivo di questa revisione biomedica  è stato quello di riassumere e discutere i risultati dei più recenti e rilevanti studi sui fattori ambientali ipoteticamente coinvolti nell’ eziopatogenesi dei disturbi dello spettro autistico. Fonti: La ricerca è stata eseguita in PubMed (National Library of Medicine) sui fattori ambientali ipoteticamente coinvolti nella eziopatogenesi  non sindromica del disturbo dello spettro autistico, tra cui: inquinanti atmosferici, pesticidi e altre sostanze chimiche agenti  sul sistema endocrino, inquinamento elettromagnetico, vaccinazioni e modifiche dietetiche. Sintesi dei risultati: mentre l’associazione tra inquinanti atmosferici, pesticidi e altre sostanze chimiche sul sistema endocrino e il rischio di disturbi dello spettro autistico sta ricevendo conferme in aumento, l’ipotesi di una vera e propria relazione causale tra di loro ha bisogno di ulteriori dati. I possibili meccanismi patogenetici attraverso cui i fattori ambientali possono portare a disturbi dello spettro autistico in individui geneticamente predisposti sono stati riassunti, dando particolare enfasi al ruolo sempre più importante dell’epigenetica. Conclusioni: La ricerca futura dovrebbe indagare se vi è una differenza significativa nella prevalenza di disturbi dello spettro autistico fra le nazioni con livelli alti e bassi dei  vari tipi di inquinamento. Un obiettivo molto importante della ricerca riguardante le interazioni tra fattori genetici e ambientali nella eziopatogenesi dei  disturbi dello spettro autistico è l’identificazione delle popolazioni vulnerabili, anche in vista di una corretta prevenzione.

Link all’articolo originale:

Autism in 2016: the need for answers

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27837654

 

L’alluminio è l’agente ambientale più studiato collegato con la malattia di Alzheimer (AD). Tuttavia, non è chiaro se i livelli sono significativamente elevati in chi soffre di AD.

OBIETTIVO:

Valutare sistematicamente i livelli di alluminio nel cervello, nel siero e liquido cerebrospinale (CSF) di casi di AD e controlli.

METODI:

ricerche elettroniche su Medline, Embase, PubMed e Cochrane Library sono state condotte fino al giugno 2015. Sono stati inclusi studi riguardanti i livelli di alluminio nel cervello, siero o liquido cerebrospinale in individui con AD e controlli non dementi. Sono state effettuate meta-analisi utilizzando modelli effetti casuali e la differenza media standardizzata aggregata(SMD) segnalati con intervallodi confidenza 95%  (IC).

RISULTATI:

Nel complesso, hanno soddisfatto i criteri di inclusione  34 studi che hanno coinvolto 1.208 partecipanti e 613 casi di AD. L’alluminio è stato misurato nel tessuto cerebrale in 20 studi (n = 386), siero in 12 studi (n = 698) e CSF in 4 studi (n = 124). Rispetto ai soggetti di controllo, chi soffre di AD aveva livelli significativamente più elevati di alluminio nel cervello (SMD 0,88; 95% CI, 0,25-1,51), siero (SMD 0,28; 95% CI, 0,03-0,54) e CSF (SMD 0,48; 95% CI, 0,03-0,93). Analisi di sensibilità esclusi gli studi senza controlli di pari età non ha un impatto su questi risultati.

CONCLUSIONI:

I risultati della presente meta-analisi dimostrano che i livelli di alluminio sono significativamente elevati nel cervello, nel siero e nel liquido cerebrospinale di pazienti con AD. Questi risultati suggeriscono che il livello elevato di alluminio, particolarmente nel siero, può servire come un marcatore precoce di AD e/o giocare un ruolo nello sviluppo della malattia.  Questi risultati forniscono sostanzialmente le prove esistenti valutando il legame tra l’esposizione cronica all’alluminio e lo sviluppo di AD.

Link all’articolo originale:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26401698

 

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