You are currently browsing the monthly archive for dicembre 2011.
COMMENTO:
Questo documento evidenzia un nuovo approccio al trattamento della malattia di Alzheimer. Lo zinco, somministrato in dosi da 50 mg al giorno, a 10 pazienti, ha determinato un miglioramento della memoria, della comprensione, della comunicazione e dei rapporti sociali in 8 di loro. L’interruzione del trattamento ha persino provocato la regressione dei miglioramenti in tutti i pazienti. Il trattamento con zinco è efficace nelle intossicazioni da rame libero presente in grande quantità nella malattia di Alzheimer e nella malattia di Wilson. La grande presenza di rame è dovuta ad una alterazione del suo metabolismo ed è in grado di provocare le suddette patologie. Il rame in eccesso aumenta lo stress ossidativo, la produzione di radicali liberi e la degenerazione dei neuroni corticali. La terapia chelante è molto dannosa e pericolosa mentre la somministrazione di zinco non provoca effetti collaterali di grave entità. Tuttavia sono necessari ulteriori studi per portare alla luce nuovi dati sulle intossicazioni da rame e l’efficacia della somministrazione dello zinco nelle patologie di Alzheimer e di Wilson.
Queste nuove evidenze confermano la bontà della via intrapresa con il metodo Mineral Test. A nostro avviso la terapia ideale deve avere come obiettivo il riequilibrio tra gli oligoelementi che non si ottiene con la somministrazione di un singolo minerale ad alto dosaggio. Ciò è confermato da altre pubblicazioni, vedi
Tjaard U. Hoogenraad *
Dipartimento di Neurologia, Centro Medico Universitario, Utrecht, 3941 VD 20 Utrecht, Paesi Bassi
*Tjaard U. Hoogenraad: Email: tu.hoogenraad@planet.nl
Editore Accademico: Rosanna Squitti
Ricevuto 9 maggio 2011; Revisionato 16 Luglio 2011; Accettato 25 luglio 2011.
Abstract
Un importante passo avanti nel trattamento della malattia di Alzheimer con una svolta dall’irrazionale dannosa terapia chelante, ad una razionale e sicura terapia orale con zinco.
Scienza medica basata sull’evidenza: dopo aver sintetizzato i migliori risultati clinici disponibili, concludo che la terapia orale con zinco è una scelta coscienziosa per il trattamento della tossicosi da rame libero[1] nei singoli pazienti con malattia di Alzheimer.
Ipotesi 1: la tossicosi da rame libero connessa all’età è un fattore causale nella patogenesi della malattia di Alzheimer. Ci sono 2 malattie neurodegenerative con anomalie nel metabolismo del rame: (a) la forma giovanile con degenerazione nei gangli basali (malattia di Wilson) e (b) la forma connessa con l’età con neurodegenerazione corticale (malattia di Alzheimer).
Inizialmente l’ipotesi è stata che la neurodegenerazione fosse causata da accumulo di rame nel cervello ma più recenti esperienze con il trattamento della malattia di Wilson hanno portato alla convinzione che il rame libero nel plasma è una forma tossica di rame: catalizza la formazione di amiloide generando così stress ossidativo, radicali liberi e degenerazione di neuroni corticali.
Ipotesi 2: La terapia orale di zinco è un trattamento efficace e sicuro per la tossicosi da rame libero nella malattia di Alzheimer. Dosaggio proposto: 50 mg di zinco elementare al giorno. Precauzione: la terapia chelante è irrazionale e pericolosa nel trattamento di tossicosi da rame nella malattia di Alzheimer.
[1] Rame chimicamente legato, ma biodisponibile
Link al documento originale: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21949909
Commento:
questo recente documento conferma quello che già si sospettava. Dopo il prelievo di sperma da 29 persone sane di età compresa fra i 26 e i 45 anni, i campioni sono stati posti sotto la base di un computer portatile collegato ad internet tramite rete wireless. La temperatura è stata mantenuta costante a 25°C. Dopo sole 4 ore, gli spermatozoi hanno mostrato una riduzione notevole della motilità. Anche il DNA spermatico è risultato progressivamente danneggiato. Questi risultati indicano che il danno agli spermatozoi, non è dovuto all’aumento di temperatura che si verifica nei testicoli quando si poggia un computer portatile sopra le gambe, ma è dovuto alle onde elettromagnetiche emesse dal computer per la connessione ad internet. La riduzione della motilità e la frammentazione al DNA dello sperma può diminuire la fertilità maschile.
Abstract
OBIETTIVO:
Valutare gli effetti dei computer portatili collegati a reti locali senza fili (Wi-Fi) sugli spermatozoi umani.
TIPOLOGIA DI STUDIO:
Studio prospettico in vitro.
LOCAZIONE:
Centro per la medicina riproduttiva.
PAZIENTE (/I):
Campioni di sperma da 29 donatori sani.
INTERVENTO (/I):
Spermatozoi mobili sono stati selezionati per emersione. Ogni sospensione di sperma è stata divisa in due aliquote. Una aliquota (sperimentale) dello sperma di ogni paziente è stata esposta ad un computer portatile connesso a internet tramite Wi-Fi per 4 ore, mentre la seconda aliquota (sperma non esposto) è stata utilizzata come controllo, incubata in condizioni identiche senza essere esposta al computer.
MISURAZIONE DELL’ESITO:
Valutazione della motilità spermatica, la vitalità, e la frammentazione del DNA.
RISULTATO:
Campioni di sperma di donatore, per lo più normozoospermici (con un normale eiaculato – secondo i valori di riferimento), esposti ex vivo per 4 ore ad un portatile collegato a Internet tramite wireless ha mostrato una significativa riduzione della motilità degli spermatozoi ed un progressivo aumento della frammentazione del DNA spermatico. I livelli di spermatozoi morti non hanno mostrato differenze significative tra i due gruppi.
CONCLUSIONE:
Per quanto ne siamo a conoscenza, questo è il primo studio che valuti l’impatto diretto sull’utilizzo del computer portatile sugli spermatozoi umani. L’esposizione ex vivo degli spermatozoi umani ad un computer portatile connesso a internet tramite una rete wireless ha diminuito la motilità ed ha indotto la frammentazione del DNA tramite un effetto non termico. Ipotizziamo che tenere sulle ginocchia, vicino ai testicoli, un computer portatile collegato ad Internet in modalità wireless, possa risultare in una diminuita fertilità maschile. Ulteriori studi in vitro e in vivo sono necessari per dimostrare questa tesi.
Link al documento originale: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22112647