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Commento: questo documento mette in risalto i possibili danni all’udito derivanti dai metalli pesanti. Anche quantità in traccia di piombo, mercurio, cadmio, arsenico e alluminio sono stati associati a diversi effetti avversi sulla salute. Numerosi studi passati hanno valutato la possibile associazione tra i metalli pesanti e la perdita dell’udito. Il Centers for Disease Control and Prevention (Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie americano) ha definito il livello massimo consentito di piombo nel sangue pari a 10 mg / dL per i bambini, ma ci sono prove che livelli molto più bassi possono essere associati a serie problematiche neurologiche e cognitive. È stato valutato che livelli di piombo nel sangue uguali o superiori a 2 mg / dL sono associati alla perdita di udito negli adolescenti degli Stati Uniti. Nel sangue, i livelli di piombo che rappresentano attualmente il limite di esposizione nei bambini, possono aumentare il rischio di perdere l’udito, quindi il livello accettabile di piombo nel sangue andrebbe rivalutato. I metalli tossici (piombo, mercurio, cadmio, arsenico e alluminio) anche al di sotto dei livelli massimi consentiti provocano comunque dei danni considerevoli. Questo dato indica che il metodo Mineral Test, mirato all’eliminazione dei metalli tossici ed al riequilibrio dei minerali fisiologicamente importanti, è una valido percorso da intraprendere per cercare di minimizzare le possibili problematiche derivanti dai metalli pesanti.

Abstract

Introduzione: la perdita dell’udito è comune e, nei soggetti giovani, può compromettere lo sviluppo sociale e il rendimento scolastico. L’esposizione ai metalli pesanti è stata proposta come un importante fattore di rischio per la perdita dell’udito.

Metodi: abbiamo valutato trasversalmente le associazioni tra i livelli di piombo e di mercurio nel sangue, del cadmio e dell’arsenico nelle urine e la perdita dell’udito determinato con esame audiometrico nei partecipanti di età compresa tra i 12 e i 19 nello studio National Health e Nutrition Examination condotto tra il 2005 e il 2008 dopo aver considerato la complessità dell’indagine. C’erano 2535 persone disponibili per l’analisi del piombo e del mercurio nel sangue, 878 per i livelli di cadmio nelle urine, e 875 per i livelli di arsenico urinario. È stato utilizzata la regressione logistica  multivariata per calcolare l’odds ratio (OR, indice utilizzato per definire il rapporto di causa-effetto tra due fattori n.d.t.) e il 95% CI (intervallo di confidenza, stima di un parametro presente in un intervallo di valori plausibili per quel parametro n.d.t.).

Risultati: un livello di piombo nel sangue superiore o uguale a 2 mg / dL (per convertire in micromoli per litro, moltiplicare per 0,0483), rispetto ad un livello inferiore a 1 mg / dL è stata associato ad una maggiore probabilità di ipoacusia (OR, 2.22; 95% CI, 1,39-3,56). Gli individui nel più alto quartile dei livelli di cadmio nelle urine avevano una probabilità significativamente più alta di perdita dell’udito rispetto a quelli nel più basso quartile (OR, 3.08, 95% CI, 1,02-9,25). Non c’era alcuna associazione generale tra i quartili di mercurio nel sangue, i livelli di arsenico urinario e la perdita dell’udito.

Conclusione: i livelli di piombo nel sangue ben al di sotto del livello massimo raccomandato, sono associati ad un considerevole incremento della frequenza di perdita dell’udito.

Link all’articolo: http://www.reuters.com/article/2011/12/22/us-high-lead-hearing-loss-idUSTRE7BL1T720111222?feedType=nl&feedName=ushealth1100

Link al documento originale: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed?term=Heavy%20Metals%20Exposure%20and%20Hearing%20Loss%20in%20US%20Adolescents

 

COMMENTO:

Questo documento evidenzia un nuovo approccio al trattamento della malattia di Alzheimer. Lo zinco, somministrato in dosi da 50 mg al giorno, a 10 pazienti, ha determinato un miglioramento della memoria, della comprensione, della comunicazione e dei rapporti sociali in 8 di loro. L’interruzione del trattamento ha persino provocato la regressione dei miglioramenti in tutti i pazienti. Il trattamento con zinco è efficace nelle intossicazioni da rame libero presente in grande quantità nella malattia di Alzheimer e nella malattia di Wilson. La grande presenza di rame è dovuta ad una alterazione del suo metabolismo ed è in grado di provocare le suddette patologie. Il rame in eccesso aumenta lo stress ossidativo, la produzione di radicali liberi e la degenerazione dei neuroni corticali. La terapia chelante è molto dannosa e pericolosa mentre la somministrazione di zinco non provoca effetti collaterali di grave entità. Tuttavia sono necessari ulteriori studi per portare alla luce nuovi dati sulle intossicazioni da rame e l’efficacia della somministrazione dello zinco nelle patologie di Alzheimer e di Wilson.

Queste nuove evidenze confermano la bontà della via intrapresa con il metodo Mineral Test. A nostro avviso la terapia ideale deve avere come obiettivo il riequilibrio tra gli oligoelementi che non si ottiene con la somministrazione di un singolo minerale ad alto dosaggio. Ciò è confermato da altre pubblicazioni, vedi

https://mineraltest.wordpress.com/2011/08/12/metalli-biologici-e-malattia-di-alzheimer-implicazioni-per-le-terapie-e-strumenti-diagnostici/ e

https://mineraltest.wordpress.com/2011/08/12/oligoelementi-morbo-di-alzheimer-e-la-terapia-di-chelazione/

Tjaard U. Hoogenraad *

Dipartimento di Neurologia, Centro Medico Universitario, Utrecht, 3941 VD 20 Utrecht, Paesi Bassi

*Tjaard U. Hoogenraad: Email: tu.hoogenraad@planet.nl

Editore Accademico: Rosanna Squitti

Ricevuto 9 maggio 2011; Revisionato 16 Luglio 2011; Accettato 25 luglio 2011.

Abstract

Un importante passo avanti nel trattamento della malattia di Alzheimer con una svolta dall’irrazionale dannosa terapia chelante, ad una razionale e sicura terapia orale con zinco.

Scienza medica basata sull’evidenza: dopo aver sintetizzato i migliori risultati clinici disponibili, concludo che la terapia orale con zinco è una scelta coscienziosa per il trattamento della tossicosi da rame libero[1] nei singoli pazienti con malattia di Alzheimer.

Ipotesi 1: la tossicosi da rame libero connessa all’età è un fattore causale nella patogenesi della malattia di Alzheimer. Ci sono 2 malattie neurodegenerative con anomalie nel metabolismo del rame: (a) la forma giovanile con degenerazione nei gangli basali (malattia di Wilson) e (b) la forma connessa con l’età con neurodegenerazione corticale (malattia di Alzheimer).

Inizialmente l’ipotesi è stata che la neurodegenerazione fosse causata da accumulo di rame nel cervello ma più recenti esperienze con il trattamento della malattia di Wilson hanno portato alla convinzione che il rame libero nel plasma è una forma tossica di rame: catalizza la formazione di amiloide generando così stress ossidativo, radicali liberi e degenerazione di neuroni corticali.

Ipotesi 2: La terapia orale di zinco è un trattamento efficace e sicuro per la tossicosi da rame libero nella malattia di Alzheimer. Dosaggio proposto: 50 mg di zinco elementare al giorno. Precauzione: la terapia chelante è irrazionale e pericolosa nel trattamento di tossicosi da rame nella malattia di Alzheimer.


[1] Rame chimicamente legato, ma biodisponibile

Link al documento originale: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21949909

Commento:

questo recente documento conferma quello che già si sospettava. Dopo il prelievo di sperma da 29 persone sane di età compresa fra i 26 e i 45 anni, i campioni sono stati posti sotto la base di un computer portatile collegato ad internet tramite rete wireless. La temperatura è stata mantenuta costante a 25°C. Dopo sole 4 ore, gli spermatozoi hanno mostrato una riduzione notevole della motilità. Anche il DNA spermatico è risultato progressivamente danneggiato. Questi risultati indicano che il danno agli spermatozoi, non è dovuto all’aumento di temperatura che si verifica nei testicoli quando si poggia un computer portatile sopra le gambe, ma è dovuto alle onde elettromagnetiche emesse dal computer per la connessione ad internet. La riduzione della motilità e la frammentazione al DNA dello sperma può diminuire la fertilità maschile.

Abstract
OBIETTIVO:
Valutare gli effetti dei computer portatili collegati a reti locali senza fili (Wi-Fi) sugli spermatozoi umani.
TIPOLOGIA DI STUDIO:
Studio prospettico in vitro.

LOCAZIONE:
Centro per la medicina riproduttiva.

PAZIENTE (/I):
Campioni di sperma da 29 donatori sani.

INTERVENTO (/I):
Spermatozoi mobili sono stati selezionati per emersione. Ogni sospensione di sperma è stata divisa in due aliquote. Una aliquota (sperimentale) dello sperma di ogni paziente è stata esposta ad un computer portatile connesso a internet tramite Wi-Fi per 4 ore, mentre la seconda aliquota (sperma non esposto) è stata utilizzata come controllo, incubata in condizioni identiche senza essere esposta al computer.

MISURAZIONE DELL’ESITO:
Valutazione della motilità spermatica, la vitalità, e la frammentazione del DNA.

RISULTATO:
Campioni di sperma di donatore, per lo più normozoospermici (con un normale eiaculato – secondo i valori di riferimento), esposti ex vivo per 4 ore ad un portatile collegato a Internet tramite wireless ha mostrato una significativa riduzione della motilità degli spermatozoi ed un progressivo aumento della frammentazione del DNA spermatico. I livelli di spermatozoi morti non hanno mostrato differenze significative tra i due gruppi.

CONCLUSIONE:
Per quanto ne siamo a conoscenza, questo è il primo studio che valuti l’impatto diretto sull’utilizzo del computer portatile sugli spermatozoi umani. L’esposizione ex vivo degli spermatozoi umani ad un computer portatile connesso a internet tramite una rete wireless ha diminuito la motilità ed ha indotto la frammentazione del DNA tramite un effetto non termico. Ipotizziamo che tenere sulle ginocchia, vicino ai testicoli, un computer portatile collegato ad Internet in modalità wireless, possa risultare in una diminuita fertilità maschile. Ulteriori studi in vitro e in vivo sono necessari per dimostrare questa tesi.

Link al documento originale: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22112647

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